L’arrivo a Biandronno
“Nel mese di febbraio 1936 faceva ancora molto freddo e nevicava ancora. Cominciai a lavorare con il mio teatrino nella pubblica piazza di Cazzago Brabbia, anche perché dovevo aiutare mio cognato e mia sorella Italia la quale era ancora in ospedale. Cercavo di fare commedie non più lunghe di un’ora per non far prendere troppo freddo alla gente che veniva a vedere i miei burattini abbastanza numerosa. Molti se lo ricordano ancora a distanza di 59 anni! Dopo Cazzago andammo a Gallarate, poi a Varano Borghi sulla bella piazza davanti alla chiesa, dove si lavorò bene per un paio di settimane… E finalmente in maggio sulla pubblica piazza a Biandronno. Conquistai subito tutto il paese con un gran successo! Sebbene fosse il tempo del fieno, la piazza era sempre piena di gente per vedere le mie commedie anche se erano stanchi perché lavoravano quasi tutti la terra fino a tarda sera. Quasi tutti avevano qualche mucca nella stalla da curare. Al tempo del grano la trebbiatrice stava in piazza settimane. Gianduja e Testafina divertivano tutti, tutti! Io e mia moglie facemmo subito molte amicizie a Biandronno: mia moglie con la Marietta Beverina, la Mariuccia Merlot, la Giulia ed altre; e io feci amicizia con l’Aldo Chiodetti, con il Carlo Lentà, con il Ricò Masciandra e i Revelli ed in modo speciale con l’Antonio Ganna e l’Emilio cieco. E quando si lasciò Biandronno per andare a lavorare in piazza a Gavirate, ci dispiacque molto molto! Poi ci spostammo a Sangiano, a Caravate – sempre sulla pubblica piazza – poi a Cittiglio su un terreno privato. Mi astengo dal dire che ovunque ottenevo successo e simpatia da tutto il pubblico. In verità, erano i miei figli diletti, Gianduja e Testafina e compagni, a gloriarsi di tanto successo! Eravamo a Laveno Mombello già da due settimane dopo il 20 settembre quando un furioso ciclone mi fece volare per aria baracca e burattini! I cancelletti di due metri per un metro volarono per aria come fossero stati di cartone. I cassoni dei burattini no, perché erano pesanti. La bufera per poco non rovesciò la carovana di mia sorella perché con paletti e corda la assicurammo affinché non accadesse il peggio. Passato il ciclone, raccolto quel poco che ci fu possibile recuperare, cercammo di metterci subito il cuore in pace per pensare sul da farsi. Riuniti in consiglio di famiglia, io feci subito questa proposta: “Sentite, miei cari, io vado a Biandronno a chiedere il regolare permesso in carta bollata al signor podestà di lasciarci lavorare in piazza come ginnasti una dozzina di giorni. Sono sicuro che i nostri spettacoli piaceranno molto perché siamo ancora tutti in gamba. Tranne la Cleme, mia moglie, siamo tutti veri figli d’arte circense. Io intanto vado da quei bravi amici falegnami a farmi costruire un teatrino più grande e più bello di tutti quelli che ho visto in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Emilia Romagna, con fondali artistici, con un metro e dieci per quattro di palco, così possiamo cantare e fare un po’ di varietà come in un teatro vero”. Tutti approvarono e tre giomi dopo si cominciò subito a fare il primo spettacolo in piazza di fianco del municipio dove c’è la sala del consiglio e dove invece nel ’36 c’era l’asilo infantile. Forse a Biandronno non capitò mai di ridere così tanto grazie alle nostre scenette e con “Gambasecca”, mio cognato. Così le nostre amicizie aumentarono anche per la “Cirillina”, mia sorella. Cantava canzoni con l’accompagnamento della chitarra. Quando cantava canzoni durante le quali doveva gesticolare e ballare, l’accompagnava Gambasecca che era pur un buon chitarrista. Anche i salti mortali che sapevo ancora fare con molta agilità molti anziani se li ricordano: riuscivo senza pedana a saltare una fila di dodici sedie con il salto da rompicollo, chiamato così, perché se si sbagliava, era il collo che si rompeva. Poi ero una buona spalla per le entrate comiche. Tutto filava bene! Nel frattempo dal Rico Masciandra e dal Pepin Ravelli io mi ero già fatta costruire la nuova e bella baracca di dodici metri quadrati, ben robusta. Dipinsi artisticamente la facciata e le quinte, per cui tutti mi facevano i complimenti ed in modo speciale l’Aldo Chiodetti ed altri e poi quasi tutti. Invece dell’acetilene e carburo usai un bell’impianto di luce elettrica di grande effetto. E il 15 ottobre 1936 inaugurazione con il primo spettacolo “Il martirio di S. Agnese con Gianduja e Testafina schiavi romani”. Poi finale con il gran varietà: sul piccolo palcoscenico feci cantare anche due canzoni al povero Emilio cieco che fu felicissimo di sentirsi molto applaudito. E gli spettacoli con il bel teatrino continuarono fino ai primi di novembre. Ci eravamo fatti amici di quasi tutto Biandronno. Amiche di mia moglie, di mia sorella come la Livia Lucchini, e molti mei amici ci consigliarono di passare l’inverno qui in paese e ci trovarono questa casa rustica, dove ancora risiedo, dei fratelli Franzetti di cui aveva la procura Enrico Parola. Ma che faceva tutto era l’Assunta Franzetti. Erano quattro locali; solo uno a pianoterreno era occupato da una vecchietta, la “Maria Celi”. Così ci stabilimmo provvisoriamente io e mia moglie nella casa che divenne mia nel 1951. Invece mia sorella Italia si fermò con la sua carovana nel cortile dei Bernard, poi in seguito nella casa della Livia Lucchini. Il Varesotto ci piacque molto e ci affezionammo. I miei spettacoli piacevano tanto e gli amici erano molti! Decidemmo di rimanere per sempre a Biandronno. Nel 1937 io e la Cleme andammo a Rivalba di Valmacca dove avevamo casa, vendemmo quel poco che avevamo e facemmo portare la nostra residenza a Biandronno per rimanervi per sempre! Sono contento che a Biandronno ho fatto onore, perché quando giravo con il mio bel teatro e ritornavo una seconda volta nella stessa piazza correva la voce: “Ci sono ancora i burattini di Biandronno in piazza!”. Ed il successo era assicurato. E poi di me parlarono bene molti quotidiani con pagine complete: “La Prealpina”, “Il Corriere della Sera”, “Il resto del Carlino”, “Il Messaggero” e molti altri e ripetutamente… Ecco come, quando e perché sono finito a Biandronno per essere ancora per tutti Nonno Berto!
Niemen Gualberto (7/1/1994)
(Tratto da “La Gazzetta di Biandronno”, n. 3, Novembre 1994)