La mia vita da “Geppetto”
GUALBERTO NIEMEN, UNO DEI PIÙ VECCHI BURATTINAI D’ITALIA, COMPIE NOVANT’ANNI. SIAMO ANDATI A TROVARLO E CI HA APERTO LO SCRIGNO DEI RICORDI
Abita a Biandronno, sulle sponde del lago di Varese, ma per cinquant’anni ha percorso in bicicletta la Pianura padana con il suo teatrino viaggiante. “Gli applausi cancellavano la fatica”. “Partii da Biandronno, e pedalai sotto la neve un giorno e una notte, trainando il carrettino del teatrino viaggiante. Arrivai ad Alessandria, dove ero atteso per uno spettacolo per le truppe, con le mani quasi congelate, ma il successo della rappresentazione fu tale che il Federale mi diede 150 lire, anziché le 100 pattuite. Era il 4 gennaio del 1941”. Gualberto Niemen esordisce con questo aneddoto, narrato con l’orgoglio di chi ha fatto del proprio mestiere una missione. È un burattinaio, probabilmente il più vecchio vivente in Italia, custode di un’arte antica, che affonda le sue radici nella Pianura padana. Non ha mai smesso di lavorare, e ancora oggi, alla vigilia del novantesimo compleanno (il 6 agosto), la sua casa-laboratorio di Biandronno, piccolo centro sulle sponde del lago di Varese, è una fucina di creatività e un serbatoio inesauribile di ricordi. Ci sono l’odore di colla calda, i pezzi di legno grezzo destinati a poco a poco a prendere forma e vita, trasformandosi in maschere della cultura popolare, le foto in bianco e nero che testimoniano di un mondo lontano, da non dimenticare. E al centro di tutto lui, il maestro, “nonno Berto”, come lo chiamano i compaesani. Un amatissimo “Geppetto”. Da qualche anno è quasi cieco, ma si muove con l’agilità di un ragazzo lungo la rampa di scale che porta nel suo piccolo regno, dove con mani sapienti di artigiano sta creando i personaggi della prossima commedia, quella «del mago cattivo e della fata buona». Gualberto Niemen vede con gli occhi del cuore, e libera volentieri i lacci della memoria, per accompagnarci in un viaggio a ritroso nel tempo attraverso una civiltà contadina che non c’è più. “Risiedo a Biandronno dal 1936”, dice, “ma sono nato a Tronzano, vicino a Vercelli, e cresciuto a Torino”. Il cognome ha radici russe: i Niemen erano trapezisti e giocolieri, giunti trecento anni fa dagli Urali fino in Piemonte, per mostrare ai contadini la magia del circo. Giuseppe Niemen, padre di Gualberto, era “acrobata enciclopedista”, e forse avrebbe desiderato che il figlio continuasse la tradizione familiare. “Ma, anche se ero bravo nel triplo salto mortale”, spiega il maestro, “la mia passione erano già allora i burattini, che imparai a costruire giovanissimo, dopo aver assistito, affascinato, agli spettacoli di Giacomo Canardi e di mio zio, Cesare Costa”. L’esordio artistico arriva prestissimo: nel 1921, a soli sedici anni, mette in scena, a Torino, la commedia Il Nuovo Caino, inventando, accanto alla tradizionale maschera di Gianduja, il personaggio di Testafina, un classico di tutto il suo repertorio successivo. Secco, cappelluto e sorridente, Testafina è l’emblema dell’ottimismo ingenuo e ostinato, dell’amore per la vita, di cui riesce a cogliere sempre gli aspetti positivi, o almeno “il meno peggio”. Dal 1921 al 1964, Niemen percorre tutta la Pianura padana, e non c’è piazza, città o villaggio in cui non venga apprezzato: i suoi burattini, le sue creature di legno e cartapesta, ma anche i suoi fondali e i suoi testi teatrali, divertono e fanno riflettere, mescolano spensieratezza e saggezza popolare, attraverso una comicità sia verbale che gestuale. I copioni sono in realtà canovacci in cui, degno erede della Commedia dell’arte, l’autore inserisce di volta in volta nuove avventure, adattando anche battute e personaggi alla cronaca locale, e alternando le sue maschere più tipiche agli eroi della tradizione operistica.
Faceva tutto da solo, Gualberto Niemen, animando contemporaneamente anche dieci burattini, tanto che la gente si domandava quante persone ci fossero dietro il mistero di quel palco. “Mia moglie stava alla cassa e mio cognato, un ex clown, aiutava a montare e smontare le scene, ma il lavoro artistico era tutto mio. La fatica, però, scompariva nel vedere il pubblico numeroso e soddisfatto: quante volte ho visto scendere le lacrime sui volti di bambini e adulti, alla notizia che il teatro si trasferiva, dopo mesi di rappresentazioni”. Neanche l’arrivo della Tv riuscì a scalfire la popolarità di “nonno Berto”, che ama ricordare il tutto esaurito delle sue rappresentazioni anche nelle sere del Musichiere e di Lascia o Raddoppia. Poi, nel ’64, decide di dar retta alla moglie, stanca di tante peregrinazioni: nel Vercellese e nel Monferrato, nell’Alessandrino e in Lomellina. Niemen mette in pensione il teatro viaggiante, e si dedica, a Biandronno, all’attività di decoratore, senza comunque mai smettere di costruire burattini e di rappresentare commedie nei centri della zona. “L’arte di Gualberto Niemen”, spiega il vicesindaco di Biandronno, Bruno Perazzolo, “è l’ultima custode della cultura del lago, e faremo di tutto perché possa continuare a essere una testimonianza importante, nella convinzione che il futuro debba avere un cuore antico”. Il Comune festeggia il novantesimo compleanno di “nonno Berto” in maniera adeguata: in programma, tra l’altro, c’è la nascita dell’associazione “Museo Niemen”, coordinata da Federica Lucchini, che raccoglierà tutto il materiale che riguarda l’artista, dai burattini ai testi teatrali, dalle scenografie degli spettacoli alle fotografie. Gualberto Niemen ascolta i buoni propositi degli amministratori e approva sorridendo, con gli occhi dilatati dietro le spesse lenti. Poi ci saluta affacciandosi dal balcone: “Giornalista, si ricordi che cosa diceva il mio Testafina: «Se volete essere felici non desiderate mai quello che non potreste avere»”.
Ettore Grassano
(Tratto da “Famiglia Cristiana”, n. 39, 1995)